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Penetration testing: metti alla prova la tua sicurezza informatica

Hai installato firewall, antivirus e sistemi di backup. Sulla carta, la tua azienda è protetta. Ma se un hacker decidesse di puntare proprio te, quelle difese reggerebbero?

Non serve tirare a indovinare o sperare che tutto vada bene. Esiste un modo per saperlo con certezza: il penetration testing (o pen test).

Molte aziende tra Bologna e Modena spendono budget importanti in strumenti di difesa, ma spesso dimenticano di verificarne l’efficacia sul campo. In questo articolo vediamo cos’è esattamente un penetration test, come si svolge e perché è l’unico modo per avere un quadro reale della tua sicurezza.

Che cos’è il penetration testing?

In parole semplici, è un attacco informatico simulato.

Un professionista certificato (chiamato spesso ethical hacker) prova a violare la tua rete, i tuoi server o le tue applicazioni web utilizzando le stesse tecniche e gli stessi strumenti di un criminale reale.

La differenza è sostanziale: l’ethical hacker agisce su tuo incarico, con un perimetro definito e con l’obiettivo di trovare i punti deboli per chiuderli prima che qualcuno possa sfruttarli per farti un danno.

Mentre il firewall lavora in automatico per bloccare ciò che conosce, il pen test usa l’ingegno umano per trovare strade alternative, aggirare le difese e scovare quelle falle logiche che i software non vedono.

Come funziona un test professionale

Un’attività di questo tipo non è un attacco casuale, ma segue un percorso preciso per garantire risultati concreti senza interrompere il tuo lavoro. Tutto inizia con la fase di ricognizione, durante la quale l’esperto raccoglie informazioni sulla tua azienda, come indirizzi IP, tecnologie utilizzate e domini, per capire dove potrebbe colpire.

Successivamente si passa alla scansione, utilizzando strumenti specifici per vedere come la rete risponde e individuare eventuali porte aperte. Il cuore dell’attività è la fase di attacco (o exploitation). Qui il tester prova attivamente a sfruttare le vulnerabilità trovate per entrare nel sistema, elevare i propri privilegi o accedere a dati riservati.

Al termine delle operazioni ricevi un report chiaro. Non si tratta solo di una lista tecnica, ma di una spiegazione di cosa è successo, quali rischi reali corri e, soprattutto, come risolvere i problemi emersi.

Tre modi di approcciare il test

A seconda di quante informazioni decidi di condividere con chi esegue il test, l’approccio cambia radicalmente. La modalità black box prevede che chi attacca non sappia nulla della tua infrastruttura: simula un attacco esterno totalmente “cieco”, molto realistico ma che richiede più tempo.

Al contrario, nel white box fornisci tu schemi di rete, codici e accessi. Questo metodo serve per un controllo rapido e molto approfondito di aree specifiche. Esiste poi una via di mezzo chiamata grey box, dove il tester ha informazioni parziali, ad esempio le credenziali di un dipendente standard. È utilissimo per capire cosa succederebbe se un account interno venisse compromesso o se un dipendente infedele volesse fare danni.

Penetration test e vulnerability assessment: facciamo chiarezza

Spesso questi due termini vengono confusi o usati come sinonimi, ma in realtà sono attività diverse. Abbiamo già parlato del vulnerability assessment (VA): immaginalo come una radiografia automatizzata che scansiona tutto e ti dà una lista di possibili problemi basandosi su un database di difetti noti. È ottimo per avere una visione ampia e costante.

Il penetration testing va in profondità. Mentre il VA ti dice che “qui la serratura sembra vecchia e potrebbe rompersi”, il pen test prova fisicamente a forzare la serratura, entra in casa e ti dimostra cosa riesce a portare via. Inoltre, il pen test è fondamentale per eliminare i “falsi positivi”, verificando se un allarme lanciato dal software di scansione è un pericolo reale o solo un errore di lettura.

L’approccio più solido consiste nell’usare entrambi: scansioni di vulnerabilità regolari per l’igiene quotidiana e pen test periodici, magari annuali o dopo grandi cambiamenti, per la validazione profonda.

Perché la tua azienda dovrebbe farlo?

Al di là dell’aspetto tecnico, ci sono motivi molto pratici per investire in questo tipo di analisi. Il primo è la validazione degli investimenti: hai speso soldi per firewall Zyxel, server sicuri e procedure di backup, e il pen test è l’unico modo per certificare che siano configurati bene e stiano facendo il loro dovere.

Un secondo motivo riguarda la conformità normativa. Se tratti dati sensibili, il GDPR e standard come la ISO 27001 richiedono di testare regolarmente l’efficacia delle misure di sicurezza. Un report di pen test è una prova concreta della tua diligenza in caso di controlli.

Infine c’è la questione della reputazione. Subire una violazione mina la fiducia dei clienti. Prevenire l’intrusione costa decisamente meno che gestire una crisi, pagare sanzioni o recuperare dati criptati da un ransomware.

La sicurezza informatica va gestita come un processo costante. Le minacce cambiano e quello che era sicuro ieri potrebbe non esserlo oggi. Limitarsi a chiudere la porta a chiave non basta più; ogni tanto bisogna verificare se le finestre resistono a un piede di porco.

Integrare il penetration testing nella tua strategia IT ti permette di passare da una difesa passiva a una sicurezza consapevole.

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